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sabato 7 aprile 2012
Tom Cheney, New Yorker 7 gennaio 2008
 
Il processo storico-politico scatenato dal Congresso di Vienna del 1815 è stato definito dagli storici come Restaurazione, ovvero il ristabilimento del potere dei sovrani assoluti in Europa e dell'Ancien Régime in seguito alla sconfitta di Napoleone. Durante il congresso furono ridisegnati i confini europei (gli Imperi di Austria e Russia e i Regni di Prussia e Gran Bretagna) con l’obiettivo di soffocare le idee di democrazia, liberalismo e nazionalità che attraversavano l’intero continente europeo.

Oggi l’Europa prova a ridisegnare i suoi equilibri politico-istituzionali dentro uno scenario di crisi profonda. Il rischio è che a pagare il conto sarà l’idea che attraverso l’Unione Europea avremmo costruito un modello sociale accompagnato dal binomio crescita-equità grazie al quale avremmo avuto un futuro di pace e prosperità.

Il 1815 è lontano ma il vento della Restaurazione soffia minaccioso sul processo di integrazione, sulla moneta unica e su ogni aspirazione volta a democratizzare le istituzioni europee. La crisi economica rischia di causare una irreversibile involuzione democratica soprattutto nell’ambito degli stati nazione in quanto è sempre meno chiaro dove si situi oggi la sovranità. E’ ormai prerogativa del mercato dalle cui dinamiche dipendono le decisioni politiche dei governi? Oppure la esercita il duo Merkozy?

La verità è che siamo ad un bivio e la scelta è tra 1) dare impulso ad una Europa democratica la cui sovranità derivi dai cittadini che compongono il quadro multiculturale europeo e 2) spianare la strada ad una vera e propria Restaurazione in chiave neonazionalista degli equilibri politici europei.

Le conseguenze del punto 1 sarebbero la progressiva sparizione degli stati nazione come soggetti di diritto ultimi del potere politico e come elementi determinanti nella definizione delle policy comunitarie, la realizzazione di un Parlamento europeo sovrano che esprima un governo dell’Unione e il riconoscimento delle soggettività storiche di tutti i popoli che aderiscono a questo modello di integrazione insieme ad un più compiuto esercizio della cittadinanza.

Gli effetti al punto 2 sarebbero la fine della moneta unica e del processo di integrazione con un ritorno a politiche di chiusura di novecentesca memoria, la riaffermazione del potere dei governi a discapito di un reale processo di democratizzazione dei sistemi di rappresentanza europei e la perdita di un possibile modello organizzativo sovranazionale rispetto all’autoritarismo capitalista cinese.

Paul Kennedy afferma che una delle problematicità maggiori di questo periodo storico è la crisi del sogno europeo. Di questo grande disegno politico nato dalle ceneri di due guerre mondiali oggi sembra si sia persa la bussola. Scrive Maurizio Lazzarato:

La successione delle crisi finanziarie ha fatto emergere violentemente una figura soggettiva che era già presente ma che occupa ormai l’insieme dello spazio pubblico: l’«uomo debitore». Le figure soggettive che il neoliberismo aveva promesso («tutti azionari», «tutti proprietari», «tutti imprenditori») si trasformano e ci conducono verso la condizione esistenziale dell’uomo debitore, responsabile e colpevole della sua sorte.

Oggi i cittadini europei sono tutti sussunti nella figura di «uomo debitore» e dentro questo dispositivo antropologico sta inabissandosi  il progetto europeista. Per questa ragione la crisi dell’Euro pone un’altra questione sostanziale, ovvero quale modello di sviluppo dovrebbe sottostare ad una “ripartenza” dell’integrazione comunitaria in un quadro in cui è franato, sotto i colpi del neoliberismo made in Chicago, il vincolo che legava capitalismo, lavoro e coesione sociale.

E’ fondamentale capire che questo legame non è più recuperabile dentro i confini degli stati nazione ma va ricostruito dentro un’unità di grandezza che sia capace di gestire la fenomenologia della globalizzazione, contrastare l’inasprirsi della crisi economica e congegnare un nuovo modello sociale europeo che coniughi una crescita economica intelligente e una fattiva equità sociale. Questa unità è l’Europa.

Risulta necessario il rilancio di un modello sociale europeo che recuperi un’idea di collettività in cui valori quali la solidarietà e la realizzazione di una economia sostenibile siano l’obiettivo primario nella costruzione di una nuova coesione sociale. E’ tempo che l’Europa si schieri in maniera chiara a favore di un modello di convivenza civile in cui le diseguaglianze siano identificate come un disvalore da combattere e non una conseguenza irreversibile dell’economia di mercato a cui assistere impotenti.

Il rapporto democrazia-finanza non è più ricomponibile dentro un modello di società le cui alternative sono tra l’«uomo debitore» e l’«homo oeconomicus». Bisogna che si riprenda il cammino verso l’uomo cittadino portatore di diritti che non possono essere messi in discussione da un mercato inteso come dominus di ogni equilibrio politico e istituzionale.

Il capitalismo va riformato. Addomesticato. Nel libro Le origini del totalitarismo Hannah Arendt stabiliva che “l‘uguaglianza non ci è data, ma è un risultato dell’organizzazione umana nella misura in cui si fa guidare dal principio di giustizia”.

L’uguaglianza è un risultato condizionato dal grado di giustizia programmato presente all’interno di una società. All’interno del grado di giustizia, sono inclusi i diritti fondamentali e il rispetto della dignità umana, le cui funzioni sociali sono atte a garantire la possibilità che ogni persona possa vivere un’esistenza dignitosa. I diritti sociali ed economici devono essere rappresentati come un pilastro fondamentale di questo meccanismo.

Se l’organizzazione della società non riesce a garantire tali prospettive alla vita di ogni essere umano, l’uguaglianza e la libertà vengono meno. Il patto costituente che regge la società decade, perché privo degli elementi che dovrebbero garantire l’eguale trattamento di tutti gli individui. La capacità di materializzare nella vita reale i propri diritti diventa inattuabile.

E’ dovere dell’organizzazione sociale offrire a tutti le stesse opportunità di poter perseguire i propri scopi e desideri, abolendo le barriere materiali e politiche che impediscono la capacità di esercitare i diritti. Sarà l’Europa all’altezza di questo compito? Il 1815 potrebbe non essere così lontano.

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