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martedì 22 maggio 2012

* La crisi economica mondiale che stiamo attraversando è stata definita da molti economisti come Grande Contrazione e presenta una sinistra analogia con la Grande Depressione del 1929, ovvero l’enorme crescita delle diseguaglianze sociali nei momenti che precedettero entrambe le crisi.

Negli Stati Uniti, per porre freno alla caduta del potere d’acquisto e alla diminuzione del tasso di risparmio di ampi settori della classe media, la finanza ha architettato i mutui subprime dando origine all’illusione che il credito facile avrebbe sostenuto il mercato immobiliare e i consumi di massa. L’ingegneria finanziaria ha cercato di nascondere le diseguaglianze sociali derivate da un sistema economico-finanziario globale che da Reagan in poi ha avuto nel liberismo l’idolo (quasi) incontrastato delle classi dirigenti conservatrici e socialdemocratiche.  

L’apologetica della deregolamentazione del mercato e dell’interferenza minima dello Stato nella vita dei cittadini hanno lentamente reso obsoleta l’idea che i servizi sociali e il settore pubblico sono ancora elementi necessari per garantire accessibilità ad alti livelli di istruzione, per costruire modelli di Welfare State capaci di sostenere un giusto equilibrio tra le esigenze delle imprese e i diritti dei lavoratori e per rendere effettiva una mobilità sociale dal basso verso l’alto intesa come un valore aggiunto per la crescita etica ed economica di una società.

Il grande dramma di oggi è rappresentato dal fatto che sono in aumento i soggetti che si percepiscono superflui rispetto alla vita economica della società, avvertendosi immersi in una rete precaria dentro le cui dinamiche viene a mancare ogni schema di coesione sociale. Si è consumatori e individui ma sempre meno si è persone e cittadini.

Dal mio punto di vista la Sardegna in cui viviamo è immersa dentro questo quadro conoscitivo, ma con una problematica supplementare: l’Autonomia. Infatti il suo (non) funzionamento ha impoverito la Sardegna, lasciando il popolo sardo in balia degli eventi e privo di strumenti per poter in qualche modo far fronte a cicli complicati come lo è questa fase storica. E’ quindi fondamentale capire se la Sardegna stia passando da uno stato di crisi congiunturale e strutturale dovuto dalla Grande Contrazione e dall'inadeguatezza dell'Autonomia, ad una definitiva fase di generale sottosviluppo irreversibile.

I dati economici sembrano andare in questa direzione. Per tanto urge aprire un sereno dibattito su come il popolo sardo dovrà esercitare il diritto ad uno sviluppo sociale, economico e culturale al passo coi tempi e soprattutto con quali strumenti normativi.

In Sardegna con quali dispositivi si vuole affrontare la crisi e creare nello stesso tempo un progetto di governo che doti l’Isola di un impianto normativo in linea con le sfide che ci attendono? Forse l’Isola non è piena di soggetti che si percepiscono superflui rispetto alla vita economica della società? Sarà il governo Monti quello della svolta per l’Isola?

La via della crescita economica e della coesione sociale passa attraverso parole come responsabilità storica e sovranità. Responsabilità storica significa ammettere che l’Autonomia è finita e va quindi superata guardando all’Europa, e prendendo esempio dalla Catalunya, dalla Scozia e dai Paesi Baschi. Sovranità indica la possibilità di decidere del nostro destino con strumenti adeguati e aderenti alla realtà sistemica europea e internazionale.

Quali forze politiche sono pronte a riformare l'Isola verso un sistema politico sovrano e basato su di una nuova Carta Costituzionale dei sardi? In ballo c'è il futuro di una Sardegna vicina ad ogni suo cittadino. Una Sardegna dove la parola equità abbia un senso e in cui poter investire e crescere. Senza che più nessuno si senta un individuo superfluo.

* Articolo pubblicato in Facebook il 27 maggio 2011. Rileggendolo ho pensato che fosse ancora attuale e l'ho quindi riproposto sul blog leggermente corretto.

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